In ogni viaggio degno di questo nome cambiano non solo gli orizzonti su cui poggiamo lo sguardo, ma i nostri stessi occhi.
Questo è stato particolarmente vero, per quanto mi riguarda, per il breve eppure intensissimo viaggio in Bosnia. Otto volontari su un pulmino bianco, un camion di aiuti giallo e rosso.
Non penso di avere lo spazio sufficiente per raccontare ogni incontro, ogni sguardo, ogni rapporto che si è rafforzato o creato attraverso l’associazione Oltre i Confini, ogni luogo visto vissuto e assaporato.
Mi limiterò quindi a dare una panoramica generale delle mie personali sensazioni e impressioni.
Ho passato le due settimane precedenti alla partenza a studiare, documentandomi per quanto mi fosse possibile su quell’incredibile intrico che sono i Balcani . Intrico religioso, etnico, territoriale, politico, economico. Intrico di interpretazioni divergenti, dissonanti della storia.
Intrico che ha dato vita a una convivenza ricchissima tra culture diverse, ma anche allo spargimento di sangue più grande che abbia visto l’Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.
Abbiamo attraversato valli incantevoli dove tutto questo sembra lontanissimo, ma a uno sguardo consapevole non potevano sfuggire i cimiteri che punteggiano il paesaggio e i fori di proiettile ancora visibili sulle case. Mi è sembrato impossibile che tanta bellezza avesse potuto ospitare tanto odio.
Sapevo poco sull’associazione Oltre i Confini. Sono rimasta a dir poco piacevolmente sorpresa. E’ una modalità di intervento che ho amato e condiviso da subito. Un approccio poco invasivo e di scambio per quanto possibile equo di esperienze e conoscenze. Un profondo rispetto che non ha nulla a che vedere con la pretesa superiorità, spesso velata, di molte istituzioni o associazioni umanitarie. La ferma volontà di seguire progetti a lungo termine, la pazienza di seguirne passo a passo lo sviluppo. E soprattutto l’instaurazione di relazioni durature, una continuità nei rapporti umani che va al di là dello scambio puramente materiale.
A questo riguardo vorrei riportare il racconto che Branko, direttore dell'orfanotrofio Dom Porodica di Zenica, ci ha fatto riguardo alla storia della sua struttura e ai rapporti con Oltre i Confini, perchè credo sia esemplare e permetta di cogliere il senso di questo viaggio meglio di tutte le mie parole.
Io avevo 25 anni quando ho aperto l'orfanotrofio, nel 1980. La situazione allora era perfetta: i fondi erano interamente statali e permettevano una qualità molto alta. Eravamo all'avanguardia anche rispetto agli standard europei. Molte le figure professionali (educatori, psicologi, assistenti sociali, medici) che seguivano i bambini. Ne ospitavamo circa 200, per ogni appartamento 12 bambini che vivevano con l'educatore. Una volta usciti dalla struttura venivano seguiti nell'inserimento nel mondo del lavoro, non c'erano problemi di finanziamenti allora... Non che io rimpianga il socialismo!
Durante la guerra la struttura è stata usata per ospitare profughi, mancava tutto...
Una volta finita, abbiamo dovuto riabilitare la struttura per ospitare bambini, che erano 96, paradossale rispetto ai 200 del pre-guerra, ma lo stato sfasciato non aveva la possibilità di seguire il progetto.
In questa fase è stato fondamentale l'aiuto di Oltre i confini, innanzitutto per soddisfare i bisogni elementari. Ho apprezzato molto la modalità del loro aiuto. Anche attualmente molti contatti in Europa e in America ci dicono come dovremmo gestire il progetto, come fare le cose e così via, ma noi già nell'80 le facevamo!!! Non avevamo niente da invidiare agli standard europei. Invece Oltre i Confini vede il nostro progetto, gli piace e non cerca di imporre un suo modello operativo, ma semplicemente ci chiede di cosa abbiamo bisogno per portarlo avanti da noi.
Oggi in Europa c'è questa tendenza crescente ad eliminare strutture di questo tipo per puntare sull'affidamento, e anche i finanziamenti da parte delle associazioni umanitarie vengono dati a progetti di affidamento. Ma in paesi ancora disastrati dalla guerra le famiglie prendono in affido i bambini soprattutto per avere il sussidio, non per dare al bambino l'affetto che merita. Una volta dati in affidamento poi non c'è controllo, non vengono seguiti. Ho visto situazioni di questo tipo in romania, per esempio.
Quello che non sopportiamo è che arrivino gli europei e cerchino di insegnarci come si deve convivere tra croati e musulmani, ci insegnano l'acqua calda!!! Noi abbiamo vissuto insieme almeno 60 anni! Mia moglie è musulmana! Prima non c'era alcun problema, adesso invece a lei servono 5 giorni per avere un visto per Trieste, che io, inquanto croato, posso ottenere subito...
E' una ferita profonda da rimarginare. Oggi la differenza si sente. Se un gruppo di musulmani parla e arriva un croato, i discorsi cambiano...E' una cosa lunga.
Questa lacerazione profonda io ho potuto appena percepirla, non avrei mai compreso appieno se non attraverso l'incontro di persone come Branko, che hanno nonostante tutto il coraggio di raccontare e rivangare quella storia, e la pazienza di raccontarla a noi, che tutto sommato non possiamo che essere interiormente dei bambini, rispetto all'esperienza che ogni bosniaco ha dovuto vivere.
A pensarci bene siamo noi che abbiamo bisogno del loro aiuto. Che si debba imparare dalla storia è una frase fatta, che spesso viene pronunciata con superficialità, ma dovremmo avere tutti l'umiltà di leggere quello che accade qui con un minimo di sguardo critico, con quel po' di distacco che è possibile solo attraverso l'elaborazione del presente attraverso l'esperienza di coloro che hanno vissuto la sua degenerazione nel passato. Accenni di razzismo, di xenofobia sono tutto intorno a noi.
Oggi in Bosnia i bambini croati serbi e musulmani sono tenuti distanti tra loro già nelle scuole, siamo sicuri che qui in Italia vogliamo fare delle classi separate per i bimbi figli di migranti?
Proprio sull'integrazione tra le etnie nelle scuole lavora l'associazione SESAM. Emir e i suoi collaboratori, che abbiamo incontrato a Zenica, e coi quali avrei continuato a parlare per ore, hanno iniziato già nel '95 a seguire i bambini traumatizzati dalla guerra, da allora i bambini coinvolti sono stati 775 nella Rep. Srbska e 3291 nella Federazione. Oltre a questo hanno lavorato per il miglioramento dei problemi di comunicazione e per favorire il processo della pace nelle scuole, con diversi progetti. Ma anche in questo caso preferisco riportare direttamente le loro parole. Emir ha uno sguardo intenso, penetrante, un'espressione seria, quasi cupa, ma mai tesa. Dà immediatamente l'impressione del profondo impegno, del coraggio e della tenacia. Mi ha molto colpito.
"Abbiamo molti problemi per i finanziamenti, dal ministero dell'istruzione non arriva nulla, la politica attuale non si occupa di progetti di questo tipo, a lungo termine, difficili.
Possiamo imparare a vivere insieme e possiamo imparare a perdonare. Lavoriamo sulla formazione degli insegnanti, perchè riflettano sul passato e possano lavorare davvero per la pace nelle loro classi.
Di nostra iniziativa siamo andati in territorio serbo, a offrire questo progetto. E noi siamo musulmani di Zenica. Abbiamo detto loro: "vogliamo lavorare con voi". Non è stato affatto semplice. C'era un misto di sfiducia e paura da parte loro. C'è voluto molto tempo per poter arrivare a parlarsi senza esitazioni, senza paura nè insicurezze.
Ci sono sempre molte resistenze ad affrontare il passato. Se agli insegnanti domandiamo:"volete lavorare per costruire la pace?" rispondono:"DA"(sì) senza esitare. Se invece chiediamo:"volete lavorare sul rapporto col passato?" allora la risposta è "NE" (no)."
Il volto serio di Emir si è sciolto in un sorriso solo quando gli abbiamo comunicato che Oltre i Confini avrebbe contribuito con aiuti finanziari da subito, di lì a due settimane sarebbe arrivato il primo assegno. La loro associazione rischiava di chiudere per mancanza di fondi.
Mi è venuta la pelle d'oca: possibile che proprio la tipologia di progetti che sarebbe più indispensabile sia anche quella più ignorata?Lasciati soli con le loro convinzioni? Mi sono sentita orgogliosa di aver in qualche modo fatto sentire loro, anche solo con la mia presenza, che in qualche modo non sono soli, che apprezziamo il loro lavoro e li stimiamo per quello che fanno. E il sorriso di Emir è stata la ricompensa più grande, ha annullato di colpo la fatica per le ore di viaggio e le levatacce mattutine.
Non credo di dover aggiungere molto altro, se non forse un consiglio a tutti quelli che ne hanno la possibilità di fare questa esperienza. Non tanto e non solo per aiutare la Bosnia, ma soprattutto per ampliare le vedute sul nostro presente, individuale o nazionale che sia.
4 commenti:
Dicevo… prima di impallare internet e dover chiudere la sessione mandando tutto all’aria…
articolo sconclusionato???
Un articolo sconclusionato che si fa leggere tutto d’un fiato!!!
Senti la pelle d’oca sulle braccia quando leggi “pelle d’oca”
e ti si formano nitide le immagini davanti agli occhi quando leggi “sorriso” oppure “occhi cupi”, paesaggi disseminati di puntini bianchi come cimiteri… oppure questo lo sto dicendo io e non c’entra nulla???
No davvero, mercie beaucoup Maty.
Io credo che l’uomo occupi sempre uno spazio geografico
E che passi continuamente, come un brutto vizio di cui a mon avis tra noi non scappa pas un,
dall’un luogo all’altro senza poter avere la pretesa di sapere cosa fara una volta la,
a volte uno non è neppure in grado di rispondersi quando si chiede perché parte,
figuriamoci se potra sapere come si sentirà una volta la,
in un altro luogo si diventa sempre qualcun altro rispetto al Maty che si conosceva prima..
E questa la magia del viaggio, la sorpresa… poter pensare tra te e te:
ho studiato mille libri di storia politica della Bosnia (come di Parigi),
ducento cartine, trecento guide turistiche…
ho guardato film e ho partecipato ad incontri, mais bon… arrivo qui, sul posto,
e occupando i miei trenta centimetri quatrati di individuo geografico quale sono…
scopro che la mia interrazzione col luogo si gioca tutta su altri fattori,
che sono piu che umani… piu umani di tutto la storia umana
che è passata su questa terra prima di me in quel momento, solamnete perché è passata… mentre la Bosnia interroga me ora… è me che quel luogo sta personalmente interrogando: attraverso le azioni, i gesti che devo compiere… dal porgere un bicchiere d’acqua a qualcuno, nel modo in cui rispondo o pongo le domande, come poso il mio sguardo su di te, da come nel farlo e nell’ascoltarti ti sto giudicando… entrando il uno di quelle strutture sociali che hai vsitato.
Le risposte ti entrano sotto la pelle senza che tu te ne renda necessariamente coscientemente conto… arrivi a casa e semplicemente “sai”…
No ecco, e qui mi interrompo perché c’è Filippo che pressa e mi sono deconcentrata senza poter rileggere tagliare incollare e scrivere cosa penso dgli interventi umanitari piu o meno incisivi o discreti!!! acc… a te la parola!!
credo anche di essere andata fuori tema... ti ho allagato il post di parole. ho strabordato la diga dei pareri sinceri...
Ok, a quanto pare è il mio turno... sicuramente influenzato dalla neve che sta cadendo fuori dalla finestra della vecchia biblioteca di Copenhagen, dall'atmosfera di inizio Novecento che mi sto facendo respirare... insomma... da Corto Maltese a Boccadorata: ecco, questo è un viaggio. Questo è trovarsi in un luogo, in un tempo, senza riuscire a capire come e perché, ma capendo benissimo la parte che si può avere in tutto questo, la parte che tutto questo ha in un tutto questo più ampio. Insomma...
Penso che ogni viaggio scolpisca un po' la nostra superficie fino a lasciarci, alla fine di una vita di spostamenti, una sottile lamina di decorazioni complesse quanto essenziali. E siamo solo all'inizio della nostra personale cesellatura.
Io non sono mai stato il tipo da aiuto umanitario, devo dire. Insomma, ok, può funzionare, ma non sono proprio io quello che lo fa... non saprei scegliere un punto a caso sul mappamondo per iniziare. Ma ultimamente mi imbatto sempre più in questo e quel militante per questa e quella ONG, o altro, e finisco per essere coinvolto, al di là di tutto.
Diciamocelo, il rapporto umano, soprattutto in questi momenti, è quello che ci carica, che ci da la forza, l'ispirazione. Ed essere ispirati è la cosa più bella; per noi e per gli altri, generalmente.
Quindi... il mondo dei Balcani è un mondo (come altri) incredibilmente magnifico nel suo orrore e nella sua bellezza. Finirci in mezzo, vedere i lavori di tanti che cercano di cambiare le cose in meglio, un meglio comune, è sempre incredibilmente bello.
E sono contento che questa esperienza ti sia toccata, e abbia fatto della vecchia Mati una nuova Mati. Non so bene cosa dovrei scrivere, visto che la mia dovrebbe essere la continuazione del commento di Claudia, ma non ho troppi indizi sull'obiettivo finale. Nè sui parerei sinceri richiesti. Nè sulla sincerità, malgrado il soggiorno in Danesilandia. Ergo, il mio parere sincero, ma sfrondato di tutti gli egocentrici schizzi di quello che mi sta intorno ora come ora, della mia visione personale attuale etc, è che sono incredibilmente stupito dal fascino e dalla forza che questa esperienza ha esercitato su di te. E piacevolmente stupito. E funziona. Vorrei farmi un bel giro in Bosnia. Insomma, devo essere realistico e se già vengo a trovarti in Chile non posso pure seguire le tue tracce in Bosnia, ma devo dire che sarà sicuramente una meta futura. Quindi... bella mati... volevo sentire qualche storia, e mi hai soddisfatto appieno. Anche se aspetto ancora con ansia eventuali altre storie, magari nella prossima volta che ci si vede di persona, a Bologna o a casa dei miei ;)
cacchio ragazzi...davverooo?
Si, è propri quello che ho trovato, l'emozione di una ruga, di uno sguardo, percepire una sensazione che non provi tu in prima persona ma che senti quasi solida attorno a un semi-sconosciuto che hai davanti, con una storia diversissima dalla tua, quella sttile lamina di decorazioni complesse ed esenziali di cui parla phil...Insomma:l'umanità dell'uomo.
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